05/08/2025 & Francesco Dentali; Cecilia Becattini

FADOI | Un caffè con gli Esperti - Puntata del 23 Maggio 2022

Buon pomeriggio a tutti e con piacere sono qui per introdurvi un ciclo di eventi originali in modalità online che abbiamo deciso di organizzare con il gruppo giovani visto il grande successo che hanno avuto i nostri webinar sul paziente critico in medicina interna e che hanno avuto più di 3000 visualizzazioni. In questo ciclo di eventi abbiamo deciso di affrontare quelli che sono gli argomenti più frequenti in medicina interna e che spesso ci pongono però dei dubbi clinici pratici. Quindi andremo ad affrontare argomenti riguardanti la parte di emostasi e coagulazione nel primo evento quello di oggi, la gestione del paziente con bpco ospedalizzato, andremo anche ad affrontare tematiche di infettivologia attraverso l'interpretazione dell'antibiogramma, tratteremo anche lo scompenso cardiaco acuto e infine tutti questi argomenti verranno poi rivalutati e affrontati nell'ottica della medicina di genere. Per ognuno di questi argomenti abbiamo deciso di affrontare delle tematiche con le cosiddette aree grigie cioè quelle aree in cui non vi sono delle linee guida ma diventa fondamentale il parere di esperti in materia. Per tale motivo abbiamo deciso di strutturare questi eventi come un'intervista doppia proprio a due esperti dell'argomento per avere il loro parere autorevole e farsi questo possa poi avere dei risvolti clinici pratici nella nostra attività quotidiana. Oggi il primo appuntamento quello che riguarda la parte di emostasi e coagulazione sarà affrontato da due grandi esperti in tema da due nomi veramente di grande peso scientifico dal professor Francesco Dentali e dalla professoressa Cecilia Beccattini. Non vi rubo altro tempo potrete poi seguire tutti gli eventi online sul nostro Fadoi Channel e verranno pubblicati sul Fadoi Channel una volta a settimana. Adesso iniziamo subito con il primo evento e lascio quindi la parola a Francesca Di Felice che è la referente dell'Umbria per i giovani Fadoi e a Davide Carrara anche lui esperto di emostasi e coagulazioni che è invece il referente della Toscana e buon lavoro a tutti grazie. Buonasera a tutti i partecipanti che ringraziamo della loro presenza e ringraziamo anche la dottoressa Ombretta Para referente del gruppo giovani nazionale della Fadoi per questa introduzione a quella che è la prima di una serie di interviste doppia agli esperti organizzate per l'appunto dal nostro gruppo giovani Fadoi. I due intervistatori di oggi saranno oltre al sottoscritto che sono Davide Carrara dirigente medico dell'ospedale Bersilia e referente del gruppo giovani della Fadoi Toscana e la dottoressa Francesca Di Felice medico della medicina del generale dell'ospedale Umbertide e referente del gruppo giovani Fadoi dell'Umbria. Gli argomenti affrontati oggi saranno inerenti al trombembolismo venoso e più nello specifico a quelle che sono le insidie più frequenti nelle decisioni cliniche che spesso ci troviamo a prendere nella nostra pratica clinica quotidiana. A parlarci ne saranno non due esperti ma due super esperti definirei che non avrebbero bisogno di presentazioni ma che ve le facciamo lo stesso che sono la professoressa Cecilia Beccatini direttore della medicina interna vasculare e strutture unite dell'azienda ospedaliera universitaria di Perugia, il professor Francesco Dentali che oltre ad essere direttore della medicina interna di Varese è anche il presidente eletto della Fadoi. Passerei pertanto subito la parola a Francesca che ci porterà subito nel vivo dell'intervista. Grazie Davide e grazie ai prof per aver accolto il nostro invito e senza altriori indugi procederei subito alla prima domanda la quale è incentrata sulla terapia anticoagulante orale stesa nel paziente con trombembolismo venoso. In particolar modo la domanda che vorremmo porvi è la seguente. Nei pazienti con primo episodio di trombembolismo venoso associato a fattori di rischio minori transitori e persistenti come dobbiamo gestire la terapia anticoagulante dopo i canonici 3 mesi di terapia in questo appunto sottogruppo di individui che è estremamente variegato dal momento che i fattori di rischio minori sono appunto estremamente neurogeni. Quindi inizierei dalla prof Beccatini a seguire la risposta del professor Dentali se siete d'accordo. Innanzitutto salutiamo tutti coloro che sono connessi a questo incontro e Francesca se devo rispondere alla tua domanda innanzitutto cercherei di chiarire quali sono questi fattori di rischio minori. Quindi ad esempio stiamo parlando di traumi, traumi che non comportano una frattura oppure traumi che magari prevedono una breve allettamento ma ripeto senza la necessità di un intervento più ultimo o potrebbe essere un breve allettamento per una condizione medica non grave. C'è chi vede tra questo tipo di fattori di rischio anche l'utilizzo dell'estero progestinico, se introduciamo anche questo tipo di capitolo capisci che diventa un gruppo di pazienti veramente pierogeneo e che hanno delle caratteristiche differenti tra i fattori persistenti ad esempio abbiamo le bb o le patologie reumatologiche quindi sono delle condizioni cliniche in cui è descritto un incremento del rischio di trombobolismo venoso non è confrontabile rispetto delle condizioni acute come può essere un ricovero per un politrauma o un intervento chirurgico però comunque in letteratura sono riportate delle associazioni con un incremento del rischio di trombobolismo venoso che non sono facilmente rimovibili, è chiaro che tu puoi avere delle fasi di crescenza di malattia o delle fasi di reacutizzazione ma non puoi eradicare un morbo di crono. Detto quali sono le condizioni c'è anche da dire che l'evidenza che c'è su queste singole condizioni è molto diversa perché mentre abbiamo studi in cui sono stati inclusi e valutavano anche il rischio di recidiva ad esempio specificamente sulla terapia strobogestinica questo è già molto meno vero se noi prendiamo le bb o se noi prendiamo le condizioni di malattia infiammatoria per cui noi facciamo un calderone lo facciamo per la nostra comodità è chiaro che il livello di evidenza che tu hai in queste condizioni è poi differente. Il problema della durata della terapia anticoagulante in questi pazienti è stato un po' risollevato nel momento in cui abbiamo avuto a disposizione dei farmaci anticoagulanti sicuri, più facili da gestire nel lungo periodo, che potessero eventualmente permettere anche l'utilizzo di dosi ridotte quindi di una dose sicura di anticoagulante ed in particolare questo sottogruppo di pazienti con fattori di rischio minore è stato analizzato separatamente ma ripeto un sottogruppo nello studio Einstein Choice dove nella profilassie secondaria del trombombolismo venoso si confrontava l'aspirina e le due dosi di Rivaronzavan, quindi la dose terapeutica e una dose di prevenzione. Innanzitutto vorrei dire una cosa, attenzione ragazzi perché basare una decisione clinica su dati di sottogruppo è sempre un po' rischioso, si parla di sottoanalisi però è pur vero che è un qualcosa che ci serve in assenza di evidenze migliori, per cui innanzitutto io credo che laddove noi abbiamo fattori di rischio persistente possiamo essere più tentati dall'idea di proseguire quel paziente un certo tipo di prevenzione secondaria. Diverso quando c'è stata comunque un certo tipo di esposizione ad un fattore di rischio anche se minore, però noi non possiamo diciamo così tralasciare il fatto che questo fattore di rischio lo possiamo rimuovere dal paziente. Il trauma minore, l'allettamento breve, per cui è chiaro innanzitutto che queste due condizioni sono diverse a mio avviso, non abbiamo ad oggi un'evidenza per poter dire cosa faccio nell'una e cosa faccio nell'altra. E quindi io ti dico è chiaro che in questo calderone forse potremmo fare delle differenze e forse in questo anche la valutazione del rischio emorragico potrebbe avere un ruolo. Non so se Francesco la pensa come me. Ovviamente sì, nel senso che Cecilia ha sostanzialmente espresso bene il mio parere, io giusto perché il format lo prevede aggiungo due cose. Intanto saluto anch'io tutti e ringrazio per la presentazione, questo è il primo punto. Le due cosine giusto da aggiungere, direi che la prima cosa è che i fattori di rischio minori sono molto più frequenti di quello che noi pensiamo, quindi una cosa che dovremmo sempre fare è fare una ricerca estensiva di tutti i fattori di rischio, perché come ha detto Cecilia in realtà il trombolismo è multifattoriale e quindi il fatto che in un certo momento il paziente sviluppi l'evento magari vuol dire che su alcuni fattori di rischio permanenti si instavano poi altri fattori di rischio transitori. Quindi una buona identificazione di tutti i fattori di rischio ci permette magari anche di identificare quelli che sono effettivamente rimovibili e diciamo che se ne abbiamo alcuni rimovibili la cosa ci aiuta perché può influenzare il rischio di recidiva. La seconda piccolissima osservazione è sul fatto che i pazienti che hanno fattori di rischio minori rimovibili, anche se ne hanno più di uno, hanno un rischio di recidiva tutt'altro che trascurabile, quindi se non possono essere considerati in analogia a una trombosi venosa idiopatica, quindi a un PRVOC, però hanno un rischio comunque considerevole. Rischio considerevole di recidiva che va gestito esattamente come ha detto Cecilia sulla base del fatto di qual è il rischio neurobiologico. Noi abbiamo tutta una serie di raccomandazioni che ci dicono che nel paziente con trombo embolismo venoso idiopatico a un PRVOC continuiamo la terapia a meno che il paziente non abbia un rischio emorbagico alto. Poi ne parleremo, ma i discorsi sul rischio emorbagico non sono brillanti, però c'è un rischio emorbagico base e un rischio emorbagico che aumenta quando io decido di continuare la terapia anticoagulante e la terapia anticoagulante se io la continuo con una bassa dose è chiaro che l'aumento del rischio emorbagico provocato da me che gli sto dando la terapia è molto basso, quindi il fatto di considerare fattori di rischio transitori minori magari rimuovibili e considerando poi quali armoni terapeutici abbiamo in mano in questo momento secondo me ci porta ad allungare la terapia. Chiudo con questa cosa, il rischio emorbagico ricordatevi che è sempre massimo nei primi mesi di terapia, quindi è molto alto ma poi il paziente l'ha già fatta la terapia anticoagulante, quindi se nei primi mesi di terapia non ha effettivamente un evento, se non insorge qualcosa di nuovo il suo rischio emorbagico per definizione non è altissimo. Sì, quest'altra cosa Francesco è anche il concetto che è chiaro che noi siamo abituati a considerare noi inibitori di retti orali, potremmo dire i farmaci sicuri, ricordiamoci che verosimilmente la sicurezza e anche dose dipendente, la possibilità di avere le dosi ridotte probabilmente gioca un ruolo importante anche quando ci troviamo a prendere delle decisioni sulla durata. Adesso insomma ripeto, questo è un altro concetto importante, è chiaro che la maggior parte di questi pazienti si candida alla terapia con un NAO e quindi i NAO hanno questo vantaggio che è considerevole. Bene, quindi mi sembra di aver capito, riassumendo che laddove ci sia un primo episodio di tromboembolismo venoso associato ad un fattore di rischio minore transitorio e quindi removibile, si tenderebbe da quanto capito magari a interrompere la terapia, specialmente se c'è un rischio emorbagico elevato, laddove invece ci sia un fattore di rischio minore persistente quindi con un elevato rischio associato comunque a un rischio maggiore di recidiva, si tende a proseguire la terapia utilizzando i dosaggi ridotti. Penso ho riassunto correttamente le vostre posizioni considerando ovviamente anche il fattore sanguinamento. Io credo che nel paziente in cui siamo in dubbio, perché nella domanda era precisato i tre mesi, è chiaro che gli studi di profilassi secondaria, quindi gli studi standard, tutti hanno portato la possibilità e hanno mostrato un vantaggio delle estensioni da un anno. Forse la domanda giusta è cosa fai dopo un anno, cioè tu ti fai i primi o tre o sei mesi perché poi ti fai i sei mesi di standard, forse la domanda giusta è quando io a un anno rivedo il mio paziente, probabilmente una decisione devo prenderla e potrebbe essere il criterio che ci suggerivi. Certamente, passo la parola a Davide per la domanda successiva e vi ringrazio. Perfetto, grazie delle puntuali risposte che in realtà ci hanno dato già l'assist a quella che è poi dopo la seconda domanda, perché è incentrata appunto sul paziente con TEV ma che ha un concomitante alto rischio emorragico. Innanzitutto la prima domanda è come definirlo, perché un po' la sfida della definizione dell'alto rischio emorragico forse è ancora aperta. Ci sono degli score, ma se possiamo realmente utilizzarli, se sì quale, se ci danno realmente una mano e una volta che abbiamo etichettato il nostro paziente come alto rischio emorragico, come gestire la terapia estesa in questo gruppo di pazienti che magari hanno anche un concomitato elevato rischio di recidiva trombi embolica? Allora rispondo io. La prima parte della risposta è che gli scopri agnostici non sono mai accurati come gli scopri agnostici, quindi predire nel futuro una cosa che accadrà è molto difficile, quindi nella diagnosi quando facciamo uno score noi diciamo sempre che vogliamo dei valori di sensibilità e specificità e valori predittivi molto alti. Nella prognosi ci accontentiamo tra virgolette di valori molto più bassi. Quindi questo dobbiamo saperlo, quindi quando noi diciamo che il nostro paziente è ad alto rischio emorragico non siamo mica sicuri che il paziente abbia davvero, avrà davvero un'emorragia se noi continuiamo la terapia anticoagulante, prima osservazione. Seconda osservazione è che comunque alto rischio emorragico o basso rischio emorragico nei primi tre mesi prevale il rischio di recidiva, quindi noi il paziente lo dobbiamo trattare con l'anticoagulante, a meno che non sia talmente alto che ci viene impedita l'anticoagulazione anche in acuto, ma sono casi molto selezionati, per esempio pazienti che hanno o hanno un'emorragia in atto oppure per esempio hanno una conta piastrinica irrisoria, quelli sono casi veramente molto estremi, però i primi tre mesi lo facciamo e quindi ritorniamo a quello che ci siamo detti prima, cioè che comunque il paziente anche se poi noi diciamo che ha un alto rischio emorragico, i primi tre mesi di terapia nel 90-95% dei casi li ha fatti senza avere un episodio emorragico, quindi dire è ad altissimo rischio emorragico se non hai insolto qualcosa di nuovo è difficile. Esistono degli score, sì esistono degli score, tantissimi come sempre, la gran parte degli score che noi abbiamo utilizzato per definire rischio emorragico in anticoagulante non sono stati derivati nel paziente con tromboembolismo venoso, e quindi visto che non sono stati derivati nel paziente con tromboembolismo venoso, la loro accuratezza in questo tipo di pazienti è bassa, quindi tutti gli score, faccio un esempio, lasbled che noi siamo abituati ad utilizzare non funzionano molto bene. Qualche anno fa nella guida CESTA-CCP avevano proposto uno score di rischio che poi avevo partecipato anch'io, ma era un'idea più una proposta perché si basava su una serie di fattori di rischio che singolarmente aumentavano il rischio di emorragia, ma poi quando l'abbiamo provato nella pratica clinica l'area sotto la curva era 0,6 poi l'ha provato, l'ha testato anche il gruppo di Prandoni e devo dire di nuovo l'area sotto la curva era 0,60, 0,62 adesso non mi ricordo, però molto, molto bassa e ultimamente proprio negli ultimi 4-5 anni è uscito un nuovo score che è il VTE-Bled score o Bled score che quando è stato derivato aveva effettivamente una curatezza molto buona perché era superiore a 0,7 quindi mi sembra 0,73 una cosa così, quindi molto, molto alta, quindi direi molto buono. Era stato provato utilizzando i pazienti del Recover 1 e 2 e sostanzialmente aveva dato buonissimi, buoni risultati sia nel gruppo in Dabigatran sia nel gruppo in Warfarin e i migliori risultati erano dopo i tre mesi, quindi sembrava molto, molto incoraggiante ed è incoraggiante, è incoraggiante perché fa una cosa, è uno dei pochi che è uno score clinico che non ha dentro pochi fattori che aumentano anche il rischio di recidiva tromboembolica e questo secondo me è una buona cosa per uno score che debba valutare il rischio provagico. Devo dire per smorzare un po' gli entusiasmi che poi quando è stato testato in un altro ambito, cioè nello studio con Led Oxaban non ha dato gli stessi risultati, cioè ha definito l'alto rischio ma l'area sotto la curva è a 0,61-0,63 quindi abbastanza bassa, quindi bene ma non benissimo. Cosa fare se uno ha alto rischio emorbagico e alto rischio di recidiva? Direi che lo valutiamo caso per caso, quindi non me la sento di dire questi pazienti devono continuare o questi pazienti devono sospendere perché dipende molto cosa vuol dire alto rischio di recidiva e alto rischio emorbagico. In questo, poi ho finito la lunghissima risposta, in questo secondo me va valutato anche quello che pensa il paziente, quindi ne va discusso col paziente e va valutato molto anche cos'era il primo evento tromboembolico venoso, perché se il primo evento tromboembolico venoso era una embolia polmonare sappiamo che più facilmente il paziente recidiva con un'embolia polmonare. Forse Francesco quello su cui si può essere d'accordo è che ci sono proprio delle caratteristiche del paziente che sono dei fattori di rischio, il paziente che ha sanguinato in passato anche magari prima della terapia antipovolante da un qualcosa che non è chiaramente mendabile perché voglio dire banalmente anche il sanguinamento emorroidario se io può recidivare perché la patologia emorroidaria non è che tu la vuoi eradicare totalmente, oppure il paziente che ha una storia di emorragia cerebrale, chiaro che questi sono pazienti che per noi sono d'alto rischio emorragico, l'età è il più grande confounder della storia però è anche vero che poi se tu vai a vedere è un paziente che o perché ha tante comorbidità o perché finalmente forse veramente acquisisce una predisposizione sanguinare è il paziente che chiamiamo come più fragile e l'altro aspetto che forse abbiamo imparato ad attenzionare più negli ultimi anni è questa la posizione renale. Adesso tra dire che questi sono fattori di rischio e dire che esiste un catopolo per il quale antipovolerei è questo diverso, perché anche il 94enne che viene in ospedale o non ha ebolia o con una trombosi venosa profonda necessita una terapia antipovolante per cui forse un valore proibitivo è solo il sanguinamento in atto, a quel punto io rifletto e potrei decidere di non antipovolare ma ecco ripeto un contedire sono cosciente, so che quel paziente ha maggior rischio emorragico, tutt'altro a dire questo sì, questo no, un po' quello che diceva anche Francesco. Sì assolutamente che poi spesso il paradigma di questo paziente spesso è magari il paziente neoplastico, il paziente neoplastico con un elevato rischio di recidiva che però insomma per la neoplasia stessa, per i farmaci che fa, per il rischio di piastrinopenie, manovre invasive a cui deve andare incontro è anche un paziente alto rischio emorragico quindi ci si scontra un po' insomma dopo i primi 3-6 mesi di trattamento nel dire questo paziente prosegue o questo paziente sospende e quindi spesso magari se mi deve venire in mente un paziente tipo che rientra in questa definizione è quello insomma però chiaramente come avete detto giustamente voi non ci può essere un cut off per cui si dice sospendiamo o proseguiamo se non valutare diciamo caso per caso. Sì penso che sia tutto questo insomma è chiaro che tu hai parlato del paziente oncologico perché nel lungo tempo lui ha anche un rischio di recidiva che è veramente elevato quindi questo no perché altrimenti sai se io sono un paziente che ha avuto un episodio di trombocolismo associato a fattore di rischio come dicevamo nella domanda precedente è chiaro che stesso che lui è un paziente ad alto rischio emorragico sai me ne faccio anche una ragione tutto sommato trattato l'episodio appunto potrei ho avuto modo di osservare quasi caduto nei primi mesi di trattamento a quel punto ho due elementi su cui decidere, in questo paziente che magari continua a fare chemioterapia per la sua patologia neoplastica è chiaro che qualche qualche dubbio in più sull'opportunità di sospendere mi potrebbe venire. Benissimo, grazie per le puntuali risposte e le preziose indicazioni pratiche per orientarci nella nostra pratica clinica quotidiana e a proposito di pratica clinica il prossimo quesito che vorrei porvi è questo, ci addentriamo nell'ambito degli approfondimenti diagnostici e degli screening in particolar modo nei pazienti che abbiano un primo episodio di trombembolismo venoso associato a fattori di rischio non chiaramente identificabili, quindi rientriamo nel vecchio ambito dell'unprovoked quali sono gli esami che voi comunemente eseguite di approfondimento diagnostico come per esempio screening per la trombofilia genetica oppure acquisiti e se sì in quale categoria di pazienti decidete di effettuare gli approfondimenti questo per evitare di fare tutto a tutti come sappiamo spesso è controproducente, quindi la parola alla professoressa Beccattini. Allora scusa, trombofilia giusto? Trombofilia direi che ci penserei nel senso che è chiaro che se io ho un paziente diciamo sopra 70 anni non mi pongo il problema molto della trombofilia perché si pensa a una condizione genetica quindi che lui ha fin dalla nascita e che lo abbia esposto a un maggior rischio di un episodio trombembolico, questo fattore ci ha messo 70 anni per esprimersi, per cui sinceramente ci penserei, è chiaro che questo è diverso da un giovane trentenne che ha un episodio senza alcun fattore di rischio, allora potrei pensare che per quello che noi sappiamo della trombofilia è che ci aumenta il rischio di avere un primo episodio di tromboembolismo venoso, il deficit di proteina C e di proteina S sono stati identificati nelle famiglie perché erano presenti degli episodi di tromboembolismo venoso giovanile, è diverso dire che questo ti espone a un rischio irrecidiva, diverso o uguale? Allora se noi andiamo a vedere ci sono delle meta analisi di letteratura e se andiamo a cercare qual è il rischio attribuibile alla trombofilia di una recidiva, quindi capito tu a chiunque ha un rischio di recidiva dopo un primo episodio, diciamo il mio rischio è maggiore rispetto a chi non l'ha avuto, ma qual è il rischio che posso attribuire veramente alla trombofilia? Bene questo è modesto, perlomeno è modesto per il fattore quinto e per la protrombina che sono quelle due mutazioni che ci piace tanto cercare, quindi sinceramente ti dovessi dire che non paziente ne vado a cercare, ma forse anche non mi cambiano un granché nella mia decisione. Quello che invece più recentemente forse anche è rimasto come quesito clinico è il ruolo dell'anticorpo antipospodipidi e l'Ux anticoagulant perché mi potrebbero influenzare anche la scelta terapeutica anche diciamo così dei primi tre mesi, noi abbiamo degli studi clinici in cui si è visto c'è un warning diciamo così all'utilizzo dei farmaci anticoagulanti diretti a antidecimo in questo tipo di pazienti, per cui potrei pensare che mi serve andare a cercare a fare un dosaggio degli anticorpi antipartiolepina e dell'Ux anticoagulant, attenzione perché in fase acuta quando io devo fare una terapia anticoagulante è verosimile che il test dell'Ux anticoagulant sia falsato dalla terapia anticoagulante, sia quest'eparina sia l'utilizzo dei doc, per cui verosimilmente non potrei farlo, non posso farlo, non posso avere un risultato attendibile durante terapia, potrei andare a determinare gli anticorpi antipartiolepina, questo tipo di positività ripeto potrebbero ripercuotersi sulla mia decisione terapeutica. Proteine A, C ed S, sì forse anche queste sono alterazioni molto rare, deficit di proteine A, C ed S e in fase acuta anche queste potrebbero avere dei valori non completamente rispondenti a quello che è il livello abituale del mio paziente, per cui non so se ho fatto chiarezza o ho fatto confusione, io alcune non le farei nemmeno più per questo tipo di decisione. È stata la chiara prof, solo a completamento della risposta le chiedo in merito invece allo screening per eventuale malignità, quindi tutte le altre forme di stato di ipercoagulabilità che si dovrebbe o non si deve andare a cercare in caso di primo episodio di tromboembolismo venoso, grazie. Adesso dico una cosa che sa un po' di vecchio, cioè prima di tutto il paziente va visitato e si guardano gli esami di primo livello, prima di andare a fare cose eroiche, perché è chiaro che un tromboembolismo venoso può essere una manifestazione di un'aneoplasia occulta, però attenzione perché se un'aneoplasia è già in grado di darti un episodio di tromboembolismo in genere è un'aneoplasia anche avanzata, quindi non cancro del colon, per dire, potrei trovare un'anemia ipocromica microcitica, oppure visitandolo potrei sentire delle enfadenopatie, per cui attenzione perché c'è chi dice che bastano gli esami di primo livello perché andare a fare esami di secondo livello per uno screening forse non ti aggiunge molto. Primo livello significa che è chiaro che sappiamo ad oggi un individuo sopra 50 anni dovrebbe per esempio essere sottoposto a screening col sangue occulto feci, perfetto, ma allora cosa cambia nell'avere un tromboembolismo venoso? No, una donna deve fare una mammografia, bene, ma quello in accordo a quelle che sono le attuali indicazioni allo screening del carcinoma della mannella, quindi detto questo io mi sento di dire che probabilmente se noi facciamo queste cose qui forse già bastano perché gli studi clinici che abbiamo ad oggi disponibili, sappiate che ce ne sono alcuni ancora in corso per cui il discorso non è chiuso, però negli studi clinici che abbiamo a disposizione noi non aggiungiamo molto andando a fare degli screening estensivi al nostro paziente, però ripeto prima di prescrivere una terapia anticoagulante forse un nemochromo lo guarderei perché se il paziente ha 30.000 piastrini o piuttosto ha 7 grammi di hemoglobina è chiaro che questo influenza le mie scelte, per cui non negherei assolutamente un nemochromo, non negherei un quadro biochimico per vedere la funzione renale o la funzione epatica, che già ho acquisito delle informazioni, ripeto, il PSA quando indicato, la mammografia quando indicata, forse un RX del torace, facciamoglielo, forse una mammografia dell'addome, ma soprattutto anche visitiamogli questi pazienti, cioè è inutile mandare uno a fare una TAC se non l'ha neanche ancora visitato, quindi ripeto dico una cosa vecchia, che sa di vecchio, però forse è ragionevole, perché poi andare a fare una TAC total body a un paziente che non ha nulla è chiaro che non aggiungo neanche nulla su un requisito specifico, aggiungo poco. Bene prof dentale vuole aggiungere qualcosa? Sì, due cosine, detto che io sono come al solito molto d'accordo con Cecilia, che sarebbe difficile non esserlo, sulla questione trombofilia secondo me lei ha sottolineato benissimo la questione di associazione con primo evento o associazione con recidiva e soprattutto rischie attribuibili sulla recidiva, i dati ci dicono che per alcune attrazioni trombofiliche rischia attribuibili è sotto il 5%, quindi non modifica sostanzialmente niente il tuo rischio di recidiva, è questo il primo punto. Secondo me è un po' diverso se il paziente ha familiarità, quindi nella ricerca della trombofilia esistono due partiti, io e Cecilia siamo due clinici, quindi siamo tutte e due non tanto believer, almeno sulla trombofilia poco believer, però se c'è una familiarità vera e se la familiarità è forte invece io la cercherei, perché secondo me lì non solo la cerchi ma due la trovi e poi i dati su rischio attribuibili e recidiva sono diversi, quindi è completamente diverso se c'è una storia familiare sì o no. questo è il primo punto. Sulla neoplasia è uguale, nel senso che il fatto di non dimenticarsi di fare tutti gli esami base, la visita è fondamentale perché gli studi che noi avevamo a disposizione ci dicono sempre più che fare qualcosa di approfondito non serve, non serve il posto che io abbia già fatto tutta la base molto bene, perché alcuni, lo dico perché anche alcuni dei miei collaboratori dicono, l'ho letto lo studio di Carrier, allora non facciamo niente, no, non è che non devi fare niente perché il paziente comunque lo devi visitare, se è anemico allora fai l'approfondimento diagnostico per l'anemia, se ha la lastra qualcosa che non ti convince allora fai l'attacco perché ha la lastra qualcosa che non ti convince, se ha delle alterazioni, delle transaminasi comunque le coglie non fai, insomma non bisogna dimenticarsi di fare la base, questo è fondamentale. Detto che con tutti i programmi di screening che sono sempre più evidenti l'incidenza di neoplasia occulta nel TEV è andata progressivamente scendendo, ma detto che grazie al Covid, cioè per colpa del Covid, tutto questo screening è saltato e quindi noi almeno nell'ultimissimo periodo stiamo rivedendo dei pazienti che arrivano per episodio di embolia polmonare e hanno effettivamente una neoplasia sottostante, neoplasia che però di nuova ragione Cecilia, molto spesso è evidente, basta visitare il paziente e due esami proprio base e ti rendi conto che il paziente ha una neoplasia. L'altro punto è che dipende quanto tempo è passato dall'episodio tremboembolico, quindi in acuto o nei sei mesi successivi un minimo di senso potrebbe anche averlo, cercare la neoplasia, dopo i sei mesi il rischio di una neoplasia sottostante è uguale a quello di una persona che non ha avuto il tremboembolismo. Si considera anche che oggi noi usiamo nello 90% dei pazienti l'attack per fare la diagnosi embolia polmonare, già tu parti da un'attacca del torace fatta, quindi anche questo è un aspetto importante secondo me. Certo assolutamente, grazie, mi permetto forse di aggiungere che siccome prima abbiamo parlato anche della ricerca di quelli che sono i fattori di rischio, appunto per Tev forse questo ragionamento potrebbe essere estensibile anche a quelli che sono la ricerca dei fattori di rischio minori persistenti, mi riferisco alle malattie aromatiche, mi riferisco all'IPD che conviene, diciamo ha senso andarle a cercare, ma quando c'è alla base un ragionamento clinico o una clinica che possa essere suggestiva di, spesso magari ci limitiamo a pensare alla trombofilia genetica oppure l'enoclasia, ma come giustamente avete detto voi prima c'è anche tutta una serie di altri fattori di rischio che possono essere determinati nella genesi di un tremboembolismo venoso. Quello che diceva Francesco in questa questa secondo me è molto interessante, cioè io se ho una storia familiare forte potrei anche non trovare nessuna trombofilia, ma come fai a dire che quella persona non è trombofilica, poi c'è una clinica che forse vince anche di più, nel senso che non è che noi conosciamo tutta la trombofilia, magari tra vent'anni voi Francesco e Davide scoprirete delle alterazioni di trombofili che per noi già non conoscevamo, per cui è chiaro che tu dosi il dosabile, cioè tu cerchi quello che ad oggi siamo in grado di cercare. Ok grazie ancora e a questo punto passerei alla prossima domanda che in realtà è un pochino più particolare perché riguarda quella che è l'interpretazione clinica, specifico clinica, dei comuni esami di laboratorio, perché c'è sempre c'è sempre stato detto che gli anticoagulanti orali diretti non necessitano di monitoraggio e così in effetti è, però tuttavia nella pratica clinica quotidiana specialmente nei pazienti ricoverati, capita spesso di vedere il dosaggio dei comuni test della coagulazione, mi riferisco a PTI, ANR e a PTT in corso di trattamento con anticoagulanti orali diretti. Ora se questi esami risultano alterati, cioè mi riferisco a un incremento o un prolungamento del PTT e il paziente non sta sanguinando, come interpretare questi esami, che significato clinico dargli se nel nostro ospedale come spesso e frequente non c'è possibilità di fare un dosaggio della concentrazione plasmatica del DOAC? Allora diciamo che prima di tutto se noi non abbiamo dei dosaggi diciamo dell'attività antidecimo o qualcosa di simile per il secondo, dobbiamo effettivamente richiederli perché è vero che gli ospedali magari non ce li hanno in urgenza, però adesso le tecniche per eseguirli sono diventate più diffuse, più facili e poco costose, quindi io ci penserei bene. Allora è un po' diverso per quanto riguarda i farmaci con attività antidecimo e attività antisecondo, perché diciamo che per quanto riguarda Dabigatran il fatto di avere un PTT completamente normale sostanzialmente ti garantisce che il paziente non abbia livelli alti di antipovolazione, quindi non abbia livelli eccessivi di Dabigatran in circolo, quindi questo secondo me già è un qualcosa. E poi si può fare il DTT che è molto facile da fare ed è direi abbastanza curato. Per quanto riguarda invece gli antidecimo, il PTT è poco affidabile e l'INR ancora meno affidabile, quindi il mio consiglio in assoluto è l'INR di non guardarlo assolutamente perché non ci dà nessuna informazione aggiuntiva, non solo, in particolare per esempio con Apixaban anche INR molto alti non corrispondono minimamente ad un eccesso di livelli di Apixaban in circolo, quindi capita di venire chiamati magari da altri specialisti che fanno in maniera rutinaria questi esami e ti dicono il paziente ha 4 di INR, cosa devo fare? Niente, non guardare l'INR. Il PTT è un pochettino più preciso ma dipende moltissimo dai differenti reagenti che vengono utilizzati nei differenti laboratori, quindi sul PTT io parlerei molto bene col mio laboratorista però di base, adesso poi Cecilia mi correggerà su tutto, però di base io non mi bilancerei a dire sì, no va bene l'anticoagulazione è normale, piuttosto che posso operarlo, piuttosto che l'anticoagulazione è eccessiva e devo fare una reversa, direi che quasi sull'antidecimo le informazioni che posso ottenere dai test base sono veramente, veramente minime, non mi affide mai a quelli. No in realtà non ti smentisco, siamo d'accordo. L'altra cosa però, ricordiamoci che questi valori qui, come diceva anche Francesco, cioè andare a misurare i DOAC, attenzione perché ha delle indicazioni molto specifiche, molto precise, cioè non pensiamo di poter adeguare la fosologia in base a questi valori qui perché come diceva Francesco non ha senso, quindi posto anche che qualcuno abbia preso il test volontariamente o involontariamente, poi ricordiamoci che ci facciamo qualcosa solamente in casi molto selezionati, ovvero se magari l'abbiamo preso perché il paziente aveva un sanguinamento in alto o se l'abbiamo preso perché nonostante stiamo certi che se prendesse l'indolt farmaco avuto un episodio trombobolico, cioè forse le situazioni in cui ci spingono poi a prendere una decisione sono queste due. Anche se noi prendessimo questo valore per farci qualcosa, ripeto, ripensiamo bene a cosa poi ci possiamo fare, cioè negli studi clinici i dosaggi dei farmaci non sono stati aggiustati sulla base dei valori dei test laboratori. Certamente, però per aggiungere ancora un pochino di difficoltà e di sale alla discussione, poi magari mettiamo che questi pazienti devono andare incontro a fare una procedura invasiva e sappiamo bene che colleghi chirurghi e colleghi anestesisti hanno dei protocolli in cui ci sono dei cut off ben precisi, forse non sempre corretti mi verrebbe da dire, però sappiamo che in presenza di un INR indipendentemente da che ci sia un'antivitamina K nel mezzo di un meno, ma se c'è un INR maggiore di 1,5 loro tante manovre non le fanno, quindi poi dopo in realtà è quando il paziente magari ha bisogno di quel determinato intervento. Noi abbiamo fatto la sospensione da tempi diciamo canonici a seconda di quella che è la manovra invasiva e facciamo il dosaggio di INR PTT prima della manovra perché tanto sennò il paziente non va incontro all'intervento e troviamo magari un INR che è ancora magari sopra 1,5 e lì spesso ci troviamo in difficoltà a gestire la cosa con i colleghi interventisti diciamo. Se è in apixaban non dovrebbero usare l'INR, questo o in edoxaban o in riveroxaban, cioè a meno di condizioni particolari come giustamente ha detto Cecilia la sospensione si fa in base al timing, quindi funzione renale e schiodo emoragico legato alla procedura, questo è quanto. Tu per il resto che hai in mano non è affidabile, visto che non è affidabile è meglio non averlo in mano, anche perché se io ho ritardo di 24, 48 ore perché poi di solito questo funziona il venerdì e poi va a lunedì, ritardo di 48, 72 ore magari una procedura, magari il paziente durante quelle ore di sospensione potrebbe avere una complicanza termeobolica, quindi fare questo non è che è gratis, andare non è gratis a parte dalla questione logistico-organizzativa, diventa pericoloso per il paziente, quindi sono convinto di fargli del bene, ma in realtà gli sto facendo del male, quindi secondo me la soluzione è spiegare molto bene agli altri specialisti cosa devono fare e fare dei protocolli interni che tutti devono rispettare, questo è il punto. Benissimo, quindi abbiamo capito che non bisogna aver timore di trovare esami alterati, ma come al solito, come stiamo già dicendo, dà molto guardare la clinica e seguire i protocolli standard in merito ai tempi di sospensione in base a rischi procedurali e demoragici. Domanda Bruciapero per i relatori e poi siamo in fase di chiusura, è una domanda che in realtà potrebbe sembrare banale, ma secondo me può nascondere anche degli insidi e indurre in errore appunto nella pratica clinica. Nelle trombosi venosi superficiali, quindi ci spostiamo, cambiamo argomento, nelle quali ci sia un interessamento della crossfeno femorale inferiore ai tre centimetri appunto, come dobbiamo procedere, come trattarle, per quanto tempo e con quali molecole? Prego chi vuole iniziare. Prima la battata bollente quindi vado io. Allora, dunque ragazzi qui il problema è il rischio embolico, chiaro, perché noi sappiamo che ad oggi ancora ci sono dei dubbi su come si debbano trattare le trombosi venosi superficiali, ma in questo caso il nostro problema è la prossimità al circolo prossimale e quindi è chiaro che anche il rischio embolico, quindi di embolia polmonare, dati vecchi, quindi dati un po' datati, ci dicono che si avvicina al rischio di una trombosi venosa prossimale. Considerate che io ho visto fare delle legature della safena per questo motivo, quindi era un qualcosa che si pensava che veramente esponesse il paziente ad un rischio e per questo motivo vengono proprio equiparate delle trombosi venose prossimali, quindi il concetto è stessa terapia. Se mi chiedete se questi pazienti erano inclusi negli studi clinici di fase 3, probabilmente anche no, perché lì si chiedeva la registrazione dell'ecodoppler e tra i punti di non comprimibilità si specificava che dovesse essere l'afemorale comune o l'afemorale superficiale, l'apoglite o l'idiaca. Per cui verosimilmente non saprei dire se c'erano delle safene isolate, forse non c'erano, però se ti dovessi anche dire che l'anticoagulante orale diretto non funziona non lo so. Ecco, forse lo studio Surprise, però sono trombosi di altro tipo, ci fa vedere comunque una certa efficacia clinica anche dell'antidecimo sulle trombosi venose superficiali, queste le equipariamo a delle prossimali. Io credo Francesco che sarei un pochino più tollerante su questo tipo di pazienti, non so tu come la pensi? Assolutamente come le prossimali, nel senso come le profonde, anche perché a meno di 3 centimetri poi magari a meno di un centimetro e comunque attenzione che la variabilità quando noi facciamo l'eco esiste. Non sono stati inclusi negli studi sulle superficiali e come ha detto Cecilia abbiamo… è interessante perché poi facciamo delle cose sulla base di poche evidenze, ma sulla base del buon senso. Se uno va a vedere quanti sono gli studi che ci fanno vedere che il rischio di eventi profondi in quelli che hanno trombosi superficiali a meno di 3 centimetri dall'osteosafena femorale, lo studio in realtà è uno, è uno studio prospettico di 200 pazienti. L'evidenza è ridicola, però il buon senso ci dice che dobbiamo fare così e tra parentesi se proprio ce lo vogliamo dire è una cosa che noi abbiamo fatto io almeno da 25 anni, quindi devo dire forse potremmo raccogliere raccogliere da noi l'evidenza perché effettivamente sono esclusi da tutti gli studi clinici sia degli studi che vanno a vedere le trombosi venose profonde e sia dagli studi che vanno a vedere delle trombosi venosee superficiali, però che il rischio sia equiparabile a quello delle trombosi venosee profonde, a parte il singolo studio che vi dicevo, mi sembra evidente, ma poi è quello che abbiamo fatto noi nella pratica clinica, tra l'altro secondo me anche il rischio di recidiva non è del tutto trascurabile, quindi anche quello va tenuto in considerazione. Ok, grazie di nuovo e a questo punto andrei a concludere facendovi l'ultima domanda che anche questa diciamo un pochino più di nicchia se vogliamo, perché riguarda il tromembolismo venoso nei pazienti con sindrome d'anticorpo e antiposfolipidi, è un no categorico ai doc, andando sempre verso una terapia con antivitamina K o possiamo cominciare a pensare di differenziare i pazienti a seconda magari dell'evento trombotico indice, se è venoso o piuttosto che arterioso, magari sullo spettro di positività anticorpale, avere di fronte magari una tripla positività piuttosto che una singola o doppia. Farei cominciare, scusi, il professor Dentali Allora intanto direi che hai già detto parte della risposta nella domanda, la prima cosa è davvero una sindrome d'anticorpo e antiposfolipidi, quindi attenzione che la sindrome d'anticorpo e antiposfolipidi ha delle caratteristiche ben definite, quindi noi dobbiamo definirla solo se ha tutti i criteri per definirla come sindrome d'anticorpo e antiposfolipidi, questo è il primo punto e se è una triplice vera il rischio è molto più alto di una duplice, poi dipende se nella duplice c'è dentro il LAC sì o no e quindi avere gli anticorpi e antiposfolipidi può voler dire rischio di recidiva molto diverso. Sinceramente però gli studi che ci sono, 3 studi con il Riva Roxaban e uno studio con la Pixobran uscito il mese scorso hanno una numerosità bassa, molto bassa, direi quasi ridicola, però almeno 3 su 4, perché il primo prendeva pazienti molto stabili e sostanzialmente non c'erano eventi, però negli altri 3 con l'inibitore diretto, cioè l'inibitore dell'antidecimo, del decimo insomma, attivato, il rischio di recidiva è più alto in maniera consistente. Abbiamo utilizzato il Warfarin per tanti anni e funziona, devo dire delle volte non funziona neanche il Warfarin, nel senso che ci è capitato di dover fare cose strane, mi ricordo 20 anni fa ho pubblicato un caso clinico di un paziente che in anticorpo e antiposfolipidi abbiamo dovuto ad un certo punto passarlo a Fondaparinox perché aveva comunque continua recidiva. Sono pazienti molto, molto delicati, visto che sono pazienti molto delicati e visto che gli studi clinici non ci confortano tanto sulle sindome d'anticorpo e antiposfolipidi vere, la mia risposta è no categorico ai DOAC, però su quelle vere, questo è tutto. L'altro aspetto da tenere presente è che forse il warning più rilevante è sulla componente arteriosa del tromboembolismo, più che sulle recidive di tromboembolismo venoso, però è chiaro che sia arterioso che sia venoso, il concetto è forse è l'unica categoria nella quale qualche remora l'avrei. Riperso si può distinguere triplo-positivo, singolo-positivo, sono studi piccoli e tutto sommato quando la diagnosi c'è, forse è un paziente che mi verrei infuma di tutto. Perfetto, direi che siamo arrivati alla conclusione di questo incontro. Io desidero ringraziare tutti voi non solo per aver partecipato ma per la vostra disponibilità a rispondere domande che per noi giovani clinici sono particolarmente spinose, quindi rinnovo i miei ringraziamenti a cui aggiungo anche quelli di Davide. Grazie ancora, prof. Dentale e professoressa Becattini. Grazie a voi, arrivederci. Grazie mille anche se ci hai dato degli anziani, va bene uguale. Grazie mille.